Qui le più fragili mie foglie, eppure quelle che dureranno più a lungo,
Qui velo e celo i miei pensieri che non mi piace rivelare,
Eppure essi mi rivelano più di ogni altra mia poesia.



Walt Whitman

UnderConstruction



Quando ho mangiato bene mi informo sul destino degli altri.

(pagina CulinAria, che non è una roba porno, ve lo dico:)

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lunedì 8 luglio 2013

il figlio dello scirocco

Era d’estate. Nell’antica casa di Palermo in cui abitavo c’era una stanza, la più interna e fresca: un’alcova di muri spessi. Quando spira lo Scirocco e l’aria diventa gialla, si bagna il pavimento di quella stanza e ci si stende per terra, in mutande, la guancia e i polsi incollati a terra, in croce. Non ci sono finestre, lì lo Scirocco non può trovarti, perché lo Scirocco fa impazzire, ti viene “un colpo” se ti trova. È una belva che scioglie le ginocchia e quando si avvicina c’è quel silenzio che hanno le cose in equilibrio subito prima di crollare: un palazzo incendiato, prima di precipitare; un bosco, prima del temporale; la terra, prima di un terremoto. I miei avi hanno imparato a difendersi dalla bestia che soffia, nascondendosi in questa stanza irraggiungibile, come il cuore. Infatti se quel vento ti entra nella testa vedi miraggi, sei uno “sciroccato” si dice, però passa. Ma se ti entra nel cuore, sei fottuto: ti brucia da dentro e ti inaridisce, come fa con gli alberi di arance.
Niente è più serio dello Scirocco nella mia terra. Nella stanza dello Scirocco non resta che fare i conti con quello che si ha e quello che non si ha. Non c’è altro. Quello che trovi in quella stanza, nudo, senza niente, ti salva. Forse per questo mia nonna diceva sempre: Tri sunnu li putenti: u papa, u re e cu’ nun havi nenti. Ricordo i discorsi sussurrati in quella stanza, anzi sono gli unici che ricordo. Un giorno, mentre lo Scirocco mordeva l’aria estiva, screpolava le persiane, abbatteva i cani, parlai con mio padre. Ero solo un bambino.
“Arriva”
“Chi?”
“Lo Scirocco”
“Come lo sai?”
“Il mare. Lo senti?”
“No”
“Appunto. Quando il mare rallenta e respira piano, le cicale impazziscono di paura e lo richiamano a fare il suo dovere. Lui arriva”
“Chi?”
“Te l’ho detto, scimunito. Lo Scirocco”
“E che si fa?”
“Come il mare. Respira piano. Appoggia la guancia al pavimento: aspetta e ascolta”
“Cosa?”
“Storie”
“Che storie?”
“Storie d’amore”
“E perché d’amore?”
“Ne esistono altre?”
“Che ne so, storie di avventura, di battaglie, di mistero…”
“E per cos’altro si va all’avventura, si soffre e si risolvono indovinelli?”
“E tu quali storie sai, papà’”
“Una sola”
“Solo una?”
“Basta e avanza”
“E come fa?”
“C’è un ragazzo. Suo padre dice che sarebbe ora che si sposasse. Sua madre dice che sarebbe bello piuttosto che si innamorasse. Suo padre dice che non c’è differenza. Sua madre dice che la differenza c’è. Suo padre non dice più nulla, tanto sua moglie ha sempre ragione”
“E poi?”
“E poi s’innamora”
“E finisce così?”
“Perché c’è altro?”
“Lei com’è? Cosa succede?”
“Lei è tua madre. Lui le dice ti amo. Non c’è altro. I dolori, le cadute, le avventure, i misteri, le gioie si dimenticano.”
“Ma di questo sono fatte le storie!”
“Non quando c’è lo Scirocco”
“Perché?”
“Quando c’è lo Scirocco bisogna andare all’osso”
“E qual è l’osso?”
“Quello che resta. Il mare. Il vento. Le stelle. La sabbia”
“E che fanno?”
“Lo sfondo”
“Lo sfondo?”
“Della commedia”
“Quale?”
“Quella di chi è innamorato”
“È una commedia?”
“Sì”
“Perché si ride?”
“No”
“E perché?”
“Perché finisce bene”
“E la tua storia come finisce?”
“Bene”
“E basta?”
“Sì”
“Neanche una lacrima?”
“Continuamente”
“Papà, ma che commedia è se si piange?”
“Figlio mio, che commedia è se non si piange?”
“Che cosa è questo rumore?”
“Quale?”
“Questo tum-tum. Sbattono le porte?”
“No. È il cuore, scimunito”
“Che ne so io che si sente il cuore nel pavimento…”
“Il giorno che non lo senti, vuol dire che lo Scirocco te l’ha bruciato. Quella è una tragedia…”
“Il mio è più veloce del tuo, papà, lo senti?”
“Lo so”
“Perché?”
“Perché ama poco”
“Perché quando ama rallenta?”
“Certo”
“E perché?”
“Perché non ha fretta”
“E poi?”
“E poi si ferma”
“Quando?”
“Quando non ha più fretta per niente”
“E quand’è?”
“Quando finisce la commedia”
“E che succede?”
“Si ride”
“Che è sto silenzio?”
“È arrivato, se senti il silenzio…”
“Beddamatri, fa scantari!”
“Lascia stare mamma. E poi non è una disgrazia…”
“Ma se bisogna nascondersi, parlare piano… Fa paura lo Scirocco”
“Tu sei figlio dello Scirocco”
“Io?”
“Era un giorno di Scirocco terribile, i fiori e i cani fuori morivano, e tua madre e io eravamo qui per terra…”
“E allora?”
“Scimunito, a te lo Scirocco t’è rimasto in testa”

(IL FIGLIO DELLO SCIROCCO di Alessandro D'Avenia)

rubato su Vanity Fair dell'11/9/2011

Alessandro D'Avenia, 34 anni, nato a Palermo, insegna Italiano e Latino in un Liceo di Milano. Ha pubblicato il romanzo Bianca come il latte, rossa come il sangue (Mondadori, 2010). Il suo blog è: www.profduepuntozero.it





[mentre  continuava a scompigliarle i capelli
lei gli chiese
perché
e il vento le rispose
sibilando e gemendo
offro al mondo, malato d'angoscia, un'anima folle]




immagine: De Giorgi Enzo



Io invece sono figlia del mare, una cozza, torno ad attaccarmi allo scoglio... ci rivediamo a settembre. Un sorriso sciroccato a tutti :-D



 

lunedì 1 luglio 2013

di un tangente e del nostro pane

 .




Si arraffa un qualche niente

e si ripete

che il tangibile è quanto basta.

Basterebbe un tangente

se non fosse

ch'è lì, a due passi, guasto.



.







immagine:"Maos" di Baciar

(” Annaspando” da Satura – Eugenio Montale)




Si è alla ricerca continua di cose tangibili, non solo cose e non solo materiali, ma piuttosto cose certe, reali, concrete, si annaspa nel tentativo di arraffare ciò che si può toccare, nell'illusione che il conosciuto ci dia sicurezza e ci salvi. Salvo scoprire che non vi è nulla di più effimero della realtà.
Ironicamente, "basterebbe un tangente se non fosse ch’è lì, a due passi, guasto". Crediamo di possedere la capacità di  tangere,  prendere, trattenere. Facoltà che, incredibilmente, scopriamo essere  guasta, inutilizzabile.
Tutto si tiene, ma istante per istante, per poi modificarsi in nuovi e diversi e casuali cumuli, tutto si tiene ma nulla si trattiene. Annaspando.
E allora? come ci si salva? Ci tende la mano l'immaginazione.
Perché la nostra mente è furba. Ha l'abilità, in  situazioni  di difficoltà, di trovare un aggancio, una ragione, una speranza, per ripararsi e continuare a vivere. E, se è vero che la realtà è effimera perché svanisce istante dopo istante, si consuma, muta, non si può trattenere, penso a quanto sia invece duratura ed eterna, “tangente”,  l’immaginazione…. Immaginare è rappresentare un pensiero, disegnare con la mente, inventare ciò che conosciamo, proiettare un’idea, eternare la realtà, varcare i confini della consistenza, evocare la memoria. Così, se ti dico che sto passeggiando in riva al mare tu senti sotto i piedi la sabbia soffice, se ti racconto che ho immerso le mani nel ruscello che attraversa la spiaggia tu senti l’acqua ghiacciata che ti rabbrividisce, se aggiungo che mi sono seduta sulle dune a ridosso della pineta, tu riconosci quel particolare profumo di resina mescolato all’odore di scoglio. Riesci ad immaginare nulla di più reale?
E' una tensione non tangente, che non anela al toccare, all’avere, alla materia, ma al sentire.
E io, sinesteticamente, sento.

Da quando frequento i food-blogs ho manifestato una nuova sinestesia: lo sguardo saporifero, guardo una foto, leggo la ricetta e le papille linguali si allertano, si gonfiano, rievocano gusti conosciuti e amati, l'olfatto amplifica la memoria di profumi esuberanti e volatili, un piacere accattivante comincia ad insinuarsi...nello stomaco!
Sento.
Come quando ho visto il pane di Michela.
Ho sentito il solletico della farina sulla pelle, il profumo di grano che mi invadeva le narici, ho visto il pane gonfiarsi di bontà nel forno.... quando Maria Teresa mi ha chiesto "facciamo una cosa a quattro mani?" è stato naturale rispondere certo che sì, facciamo il pane di Michela! E così, ci siamo messe d'accordo sugli orari, e abbiamo cominciato insieme, ognuna a casa propria, ma insieme. Sei pronta per la biga? riduciamo il lievito? minchia qua fa un caldo! domani trovo l'impasto esploso! vabbè mettiamo 5 grammi e niente copertina. La mattina dopo apro il contenitore e...zaf! una zaffata di alcool che dopo due minuti mi son messa a ballare la tarantella sul tavolo! (come sempre quando sniffo o bevo roba alcolica). Inutile dire che dopo la tarantella ho tentato un intervento d'urgenza sull'impasto mezzo slievitato, praticato la respirazione bolla a bolla, messo nell'impastatrice che dopo l'operazione per rinsaldare la frattura dei ganci non s'è più ripresa, arrivata gente, prima la vicina di casa, sì ok entra scusa ma sto riabilitando la biga comatosa, sì vabbè ti faccio il coffì, sì ok il prezzemolo te lo dò, sì vicinadicasa facciamo due chiacchiere, però scusa vedo un attimo che succede nella planetaria...(una sbobba grigia)...ah vai via??? peccato! intanto Maria Teresa mi mandava le foto del suo meraviglioso impasto tutto tronfio, pieno di arie, poi quelle dentro i forno tutto bello colorato pieno di arie e poi cotto tutto bello croccante e pieno di arie.... il mio a vedere tutta quell'aria je venuto un mancamento.... un guizzo d'orgoglio l'ha portato fin sul filo di lana, non voleva darmi una delusione, ci eravamo parlati, io sono una simpatica e dolce, però suscettibile.... temeva che l'avrei dato in pasto all'unico pesce superstite che mangia così tanto che fra un po' l'acquario nuoterà nella sua pancia, tanto è cresciuto.
Ed eccolo qua, lo smilzo, il pane, dico.
(ma perché quando parlo di cucina sono così prolissa????)


poveretto lo vedete, che scorza sofferente, che semi tramortiti, che forme scomposte, che colorito verdognolo.... l'ho conservato, promettendogli che lo avrei mangiato io, solo io, giammai il pesce e.... ho deciso di rifarlo. (continua...)







(clicca qui per leggere la seconda e ultima puntata) 


nota

I post etichettati col tag "echi" sono ritorni di parole, ripubblicazioni di pensieri posati nel tempo andato in due blog sul portale di Libero (che non ho cancellato nonostante li ritenga finiti). Per ragioni ogni volta diverse ho voglia di sentire l'eco di quel passato, qui.

altrove

Lettori fissi





Cara, amica mia cara,
ciò che riceverai sono oggetti da riempire, come lo è la vita d'altronde. Riempire con le tue scintille di bellezza che assomigliano un po' alle mie - altrimenti perché saremmo amici? continua

infiniti cristalli, brandelli di trasparenze raccolti ai bordi di un'anima fragile, se frugo in me non trovo che questo: frammenti di aria.

passato prossimo

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